La Sedia a Rotelle vista da una Persona non Disabile

[dropcap]M[/dropcap]amma va all’EXPO in sedia a rotelle

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la Mamma e la Zia alla EXPO

Il mese scorso la mia Mamma si è recata a Milano per l’EXPO. Da tanto tempo i miei genitori desideravano andare, ed hanno scelto un mercoledì di settembre, giorno in cui c’era qui, nostra ospite, la zia siciliana.

Purtroppo solo un paio di giorni prima la Mamma era caduta di brutto sulle ginocchia e, non volendo rinunciare, si è servita di una sedia a rotelle, che Papà spingeva.

Le ho chiesto di vivere l’esperienza con spirito di osservazione e poi relazionarmi. Un po’ per capire come IO sono cambiata, (perché è chiaro che in me c’è ormai, dopo tanti anni di S.M., l’abitudine), ma anche per rendermi conto del pensiero altrui.

Riporto con parole mie i suoi pensieri.

“Sulle prime mi sono detta che era una cosa stupenda poter disporre di un ausilio in grado di permettermi di soddisfare un mio desiderio (perché poi non sarei proprio più potuta andare). In quel momento difficile dava un senso di libertà e di potenza: ce la faccio ugualmente, mi dicevo, senza fra l’altro stancarmi, come altri mi raccontavano essere successo.

Abbiamo visitato padiglioni privi di barriere architettoniche, tralasciando quelli su due piani, che però non prevedevano ascensori, o quelli un pochino affollati (piccole inevitabili rinunzie!).

Vedevo solo le cose alla mia altezza e insistere ad osservare le cose in alto significava, dopo un po’, un bel male al collo.

Papà, sempre attento, si fermava ogni volta che io lo chiedevo, ma capitava di dover tornare indietro perché l’azione che seguiva la richiesta non poteva essere proprio del tutto immediata; in effetti mi sono resa conto che chi spinge, stando dietro, non sempre riesce a sentire quello che la persona in sedia, che guarda avanti, dice.

Quando ogni tanto mi spingeva la zia, notavo la differenza. Ognuno ha il suo stile, in termini di velocità (si fa per dire); il suo modo (più o meno a scatti) di partire o di frenare, di affrontare un piccolo gradino, e, se non sei preparato, ne soffri un po’.

Emergono caratteristiche umane

Stare in sedia vuol dire chiedere sempre: fermarsi, andare per un caffè, piuttosto che la sosta alla toilette, significa rendersi conto che da solo non puoi farcela, accettare il tuo limite (che è sempre un buon punto di partenza: l’accettazione).

Oltre ad imparare la difficile arte della accettazione, bisogna armarsi di pazienza e comprensione, e rendersi conto che chi ti aiuta lo fa con tutto il cuore, ma ovviamente mai e poi mai potrà fare le cose esattamente come le avresti fatte tu.

A volte ho rinunziato a chiedere, temendo in quel momento di disturbare in modo particolare. Ecco quindi che si sviluppano in noi doti di sensibilità.

Certamente ho visto altri lati positivi: alcuni decisamente marginali, come

  • Non aver perso l’opportunità di andare
  • Non essermi stancata per niente
  • Non aver fatto code
  • Ricevere l’attenzione dei bambini che ti guardano un po’, e poi magari con gli occhi spalancati vengono a chiederti se hai male alle gambe.

Ma, comodità a parte, l’ aspetto più “positivo” di una sedia, che poi incide sul modo di approcciare la vita e le relazioni con gli altri, sta nel constatare che la gente è fondamentalmente buona, si mostra comprensiva, sensibile, lascia passare, offre il suo aiuto. Bisogna solo metterla in grado di offrire questo aiuto ed accettarlo col sorriso.”

Questa è una esperienza che io avevo già fatto diversi anni fa a Venezia, città scomodissima sotto questo profilo; (tante barriere che ancora oggi, nonostante i tanti anni passati e la maggiore sensibilità verso i disabili, resistono e impediscono libertà di movimento).

Avanti e indietro per le calli, su e giù per i ponti che attraversano i tanti rii. Difficilissimo se non impossibile, e chi ti aiuta, un ponte dopo l’altro, inevitabilmente in breve si stanca, ma…è sempre intervenuto qualcuno a fare spazio, a dare una mano nell’aiutare a portare su e giù, da una parte all’altra, la sedia con me sopra, e poi a chiedere se c’era bisogno di altro ancora.

Tutto ciò mi ha sempre aiutato nel rapportarmi con gli altri, vederne i lati positivi, e, come conseguenza, considerare marginale ciò che del loro comportamento a volte poteva disturbarmi.

E’ un modo che mi rende più facile affrontare la vita giorno dopo giorno!

Dopo quello che mi ha detto la Mamma, ho comunque sviluppato un senso di maggiore rispetto per questa sedia, a volte mal sopportata, ma che oramai fa parte di me. Tutto sommato è solo uno strumento, e, senza volerne fare l’elogio, penso dipenda sempre e unicamente dall’ottica con cui osservi e valuti le cose. Come tutti gli strumenti presenta tanti diversi aspetti!

Questione di punti di vista!

La sedia a rotelle è per te “un peso” o una “opportunità”? Fammi sapere.

Ciao

-Gin

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